Beni comuni, proprietà collettive e usi civici in Trentino tra ‘700 e ‘900

Beni comuni

Le comunità trentine, a partire almeno dall’alto medioevo, erano proprietarie di ampie porzioni di territorio che sfruttavano secondo modalità collettive. L’esiguità e la scarsa produttività del suolo coltivabile non permettevano di trascurare le risorse offerte dai pascoli e dai boschi che, a differenza dei terreni agricoli, non erano divisi in appezzamenti assegnati alle diverse famiglie.
Nel corso della prima metà del XIX secolo, il governo asburgico si impegnò nel tentativo d’indurre le comunità a privatizzare i beni comuni mediante la spartizione tra i nuclei famigliari; le resistenze incontrate e la graduale comprensione del ruolo fondamentale che le proprietà collettive e le tradizionali modalità di sfruttamento dei pascoli e dei boschi svolgevano nell’economia delle province alpine, persuasero il potere centrale ad adoperarsi per una funzionale regolamentazione piuttosto che per una soppressione. Inoltre, a partire dalla fine del secolo, vennero assunti provvedimenti in favore dell’alpeggio, poiché la tradizionale gestione comunitaria delle malghe impediva di ottenere prodotti caseari di buona qualità, che avrebbero potuto trarre vantaggio dallo sviluppo delle vie di comunicazione per soddisfare accresciute richieste. La guerra arrestò il processo in atto e consegnò all’Italia un territorio devastato cui nel 1927 venne imposta una legge che, proponendosi l’accertamento, la valutazione e l’affrancazione degli usi civici, pose in discussione la proprietà e la gestione collettiva dei beni comuni.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Soprintendenza per i beni librari, archivistici e archeologici della Provincia di Trento presenta le vicende delle proprietà collettive dalla fine del XVIII secolo all’inizio del XIX secolo attraverso mappe, documenti manoscritti e utensili impiegati nello sfruttamento del bosco e del pascolo.