Il volto dell'Uomo Selvatico

Nato come espressione della cultura popolare, l’Uomo Selvatico è entrato a far parte anche dell’arte colta che ne ha utilizzato la grande forza evocativa. Profondamente radicato nella cultura europea, incarna l’equilibrio tra natura selvaggia e civiltà umana, un mediatore tra mondi che spesso sembrano inconciliabili.

La sezione curata da Silvia Spada Pintarelli, esplora questo simbolo profondo della nostra tradizione, con un focus particolare sulle evidenze nell’arco alpino e in particolare in tutto il Trentino-Alto Adige.

Il percorso espositivo, arricchito anche da due postazioni multimediali per vivere esperienze immersive in realtà virtuale, analizza le rappresentazioni artistiche dell’Uomo Selvatico, in particolare tra Medioevo e Rinascimento, attraverso una significativa raccolta di oggetti e ne indaga il significato simbolico che lo rende una figura ancor più misteriosa e affascinante.

Il tema
della sezione

9 Miniatore della Scuola di Gand e Bruges, Officium beate Marie Virginis. Trento, Biblioteca comunale

Tema della sezione è la raffigurazione dell’Uomo Selvatico nell’arte, dal Medioevo al Cinquecento, nell’arco alpino e in particolare in Trentino Alto Adige, con un approfondimento lombardo.

In questi secoli e in questi luoghi la figura dell’Uomo Selvatico è densa di significati, affascinanti e ambigui, e trova espressione soprattutto per mezzo della pittura murale e nell’araldica, anche se non mancano raffigurazioni su oggetti d’uso, più diffuse comunque a nord delle Alpi.

Senza pretesa di completezza, vengono analizzate alcune immagini ed esposti alcuni oggetti per raccontare l’intricata simbologia che l’Uomo affida, di volta in volta, a questo suo alter-ego, rimasto in armonia con la Natura, di cui conosce i segreti e che è disponibile, se si rispettano le sue condizioni, a divulgarli per migliorare ed arricchire la vita degli Umani.
 

Nell'immagine a fianco: Miniatore della Scuola di Gand e Bruges, Officium beate Marie Virginis. Trento, Biblioteca comunale

L'Uomo Selvatico
nell'arte

Nel Medioevo la sua figura ha tratti più spaventosi e crudeli, gli stessi che si ritrovano nelle tante leggende popolari che lo riguardano. Compare spesso nei poemi cavallereschi, come in quello che narra le vicende di Ivano, cavaliere della Tavola rotonda, che, in cerca di avventure, si imbatte in questo abitatore della foresta. A discapito dell’aspetto terrificante, si rivelerà di grande aiuto, consentendo al cavaliere di trovare la Fontana magica. La storia di Ivano è stata dipinta, agli inizi del Duecento, in una sala del castello di Rodengo (BZ), di cui è stata realizzata per la mostra una riproduzione in 3D e un approfondimento su touch-screen.

A partire dal Quattrocento, l’Uomo Selvatico subisce una trasformazione: perde l’aspetto terrifico a favore di un’immagine più serena e umanizzata. In alcuni casi, sotto l’influenza del recupero della cultura classica, è raffigurato privo del pelo che normalmente lo caratterizza e la sua ‘selvaticità’ è ricordata solo da rami e fronde intorno alla testa e ai fianchi, come nei dipinti sulla facciata di casa Bertelli a Cavalese (TN) del 1490 ca.

 

Nell'immagine a fianco: L’Uomo Selvatico (particolare). Rodengo, castel Rodengo

Il Selvatico
nell'araldica

Compare nell’araldica: in mostra sono raffigurati gli stemmi delle famiglie trentine che lo esibiscono, sono esposti l’ex-libris del canonico Angerer di Bressanone (1530), una formella da stufa della famiglia Wild (it. Selvaggio) di Vipiteno (1672), la riproduzione di un grande disco da bersaglio  della metà del Settecento dell’importante famiglia bolzanina dei Menz, dove il Selvatico diventa elemento narrativo/simbolico di grande suggestione.

Sempre in araldica può avere la funzione di reggi-stemma, ponendosi così ancora una volta al servizio dell’Uomo: la bella incisione di Martin Schongauer (1480 ca.) ne è un raffinato esempio.

Questo Selvatico umanizzato viene dotato di una propria famiglia: ha moglie e figli e conduce una vita semplice, nella natura, lontano dal caotico mondo degli uomini ma in stretto parallelo ad esso. Così viene raffigurato nelle miniature dell’Officium Beate Marie Virginis (inizi del Cinquecento), opera di vigneteurs di scuola fiamminga.

La sua figura fantastica è di gran moda nella Svizzera del XV secolo: si trova più volte in una serie di raffinati arazzi, creati a Basilea per le famiglie nobili e alto-borghesi, di netto sapore cortese: in mostra se ne può ammirare uno, lungo ca. due metri e alto uno, dove compaiono due Selvatici a cavallo di un unicorno e di una creatura ibrida, che accompagnano due giovani intenti in un corteggiamento amoroso (seconda metà del Quattrocento). È un’opera di grande qualità, intima, seducente.

 

Nell'immagine a fianco: Martin Schongauer, Uomo Selvatico reggi-scudo. Pavia, Musei civici.

Il Selvatico
come insegna di locanda

Un’altra curiosa funzione viene affidata in questo periodo all’Uomo Selvatico, accompagnato in questo caso dalla compagna, la Donna Selvatica. Si trovano, in genere in grandi dimensioni, dipinti o scolpiti, sulle facciate di locande. Invitano il viaggiatore a fermarsi per un momento di ristoro, assicurando, nel contempo, la loro benevola protezione.

Molto diffuse a nord delle Alpi, queste insegne sono testimoniate anche in regione dalla statua dell’Uomo Selvatico a tre teste (XVI secolo), che domina l’incrocio tra i Portici maggiori e quelli minori a Bressanone (BZ), ben visibile a chi proveniva da nord, da est e da sud, e dal dipinto sulla facciata meridionale della locanda Aquila nera (1470 ca.), a poca distanza dalla sede del museo di San Michele. Qui, al di sotto di una meridiana con il disco solare, un Uomo e una Donna Selvatici affrontati accolgono il viaggiatore dispensando, nei cartigli che li accompagnano, saggi consigli per un buon vivere.

I temi affrontati dalla mostra attraverso esempi perlopiù locali sono, come detto, largamente diffusi nell’Europa del Quattro- Cinquecento.

 

Nell'immagine a fianco: Bottega dei Sacchetto (?), Meridiana con disco solare, Uomo e Donna Selvatici. San Michele all’Adige, ex locanda Aquila rossa

La camera picta a
Sacco in val Gerola

Un vero e proprio unicum è invece rappresentato dai dipinti, datati 1464, conservati nella Casa dell’Homo Salvadego, a Sacco in val Gerola (SO), una laterale della Valtellina. Qui l’Uomo Selvatico è raffigurato, insieme ad un Arciere e a un riquadro con il Compianto su Cristo morto, in una stanza le cui pareti sono dipinte con giganteschi fiori, accompagnati da cartigli con scritte e motti. Lo studio effettuato appositamente per questa occasione, ha permesso di comprendere la funzione della stanza: si trattava, con ogni probabilità, di una camera alchemica, un luogo di riunione di alchimisti e adepti alla ricerca della trasformazione, di un percorso di rinascita e miglioramento personale ben esemplificato dai fiori, non riconducibili a specie botaniche note, ma simbolo di tale mutamento.

Anche in questo caso la riproduzione in 3D permette di immergersi nella stanza di Sacco alla scoperta dei ‘segreti’ dell’Uomo Selvatico.

 

Alla sezione è dedicato un volume, a cura di Silvia Spada Pintarelli, con testi di Elisa Ronconi, Angelo Davanzo, Lisa Angelini ed Eugen Behrens (Bertelli editori, Trento), che ne segue il percorso e propone approfondimenti riguardanti i dipinti della locanda Aquila nera di San Michele all’Adige, e quelli della Camera picta di Sacco in val Gerola.

È  anche a disposizione il gioco didattico “Selvatichino sarai tu!” ideato dalla Coop. 404 di Bolzano, alla quale si devono anche il progetto grafico e di allestimento della mostra.

 

Nell'immagine a fianco: Homo Salvadego. Sacco in val Gerola, casa dell’Homo Salvadego

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